L’inchiesta di Lila Onlus. Pazienti che hanno sviluppato epatocarcinomi per farmaci arrivati troppo tardi; ngiustificati adempimenti burocratici per prescriverli;
casi di reinfezione nei gruppi vulnerabili: da Milano a Catania i medici raccontano il primo anno delle nuove terapie, tra successi e difficoltà. Mentre, secondo i dati della Corte Icona, il 60% dei cirrotici con coinfezione non ha ancora accesso ai nuovi trattamenti.
E intanto aumenta chi si cura con i farmaci generici indiani. A Bologna l'ospedale offre un servizio per accertare che chi li usa abbia la giusta dose di principio attivo e non utilizzi molecole contraffatte.
Avere una malattia cronica che potrebbe aggravarsi con conseguenze irreversibili e sapere che una medicina per curarla c'è ma non possiamo averla: costa troppo. Lo Stato ce la darà, ma solo dopo che ci saremmo aggravati.
E' la condizione in cui si trovano migliaia di italiani che convivono con il virus dell'Epatite C (Hcv), una malattia del fegato che, se si cronicizza, compromette anche altri sistemi e favorisce altre patologie. Dalla fine del 2014 sono state autorizzate e rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) cure in grado di guarire questa patologia rapidamente e senza effetti collaterali. Si tratta delle terapie antivirali dirette prive di interferone, estremamente efficaci ma anche costosissime, il cui prezzo al pubblico arriva a 70mila euro per persona. Per poter offrire questi farmaci innovativi il governo ha istituito uno specifico fondo da un miliardo per due anni (2015-2016), ma questi soldi sono sufficienti a curare solo una parte dei malati più gravi – circa 50mila persone- mentre il Piano nazionale per la prevenzione delle epatiti virali, approvato dalla conferenza Stato-Regioni all'inizio dell'anno, stima che siano un milione gli italiani con il virus e 330mila quelli in cirrosi epatica. L'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), ha stabilito che per accedere alle nuove cure bisogna essere in una condizione di cirrosi epatica, nello specifico avere una fibrosi F3 o F4, ovvero i due livelli più alti di danno del fegato.
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